Massimiliano Spano Psicologo-psicoterapeuta, presidente di Jonas Torino e responsabile clinico del Servizio di Educativa Territoriale per pazienti alcol e tossico-dipendenti, Val d’Aosta
Elena Camerone Psichiatra e psicoterapeuta
Negli ultimi anni si è assistito a un incremento delle terapie da remoto condotte, soprattutto, tramite l’uso delle nuove tecnologie Internet. L’aumento della mobilità e delle possibilità di comunicazione istantanea ha, di fatto, prodotto una trasformazione sociale e individuale, del concetto di relazione e del concetto di tempo e di spazio.
Per il filosofo Luciano Floridi viviamo in un’infosfera nella quale oltre il corpo, anche il tempo vissuto ha un nuovo paradigma. Ciò che percepiamo essere una linea di demarcazione netta fra online e offline è, ormai, un modo obsoleto per concepire il tempo e il luogo (fisico e psichico) in cui il soggetto agisce. Lo sviluppo delle tecnologie e dei nuovi media influenza radicalmente la condizione umana modificando la relazione con noi stessi, con gli altri e con il mondo che ci circonda. Il tempo che viviamo è il tempo dell’onlife, che unisce due piani, quello della realtà quotidiana delle cose in cui ci troviamo immersi (life) e il dominio digitale (online). Così noi siamo a metà strada tra offline e online, tra le cose “reali” e un piano virtuale, digitale, non certo meno “reale”.
Sherry Turckle, fra le prime psicologhe a occuparsi della relazione tra tecnologia e il Sé e dell’influenza dei nuovi media sull’essere umano, si spinge ancora oltre e sostiene che la tecnologia si propone come architetto della nostra intimità.
È a partire da queste considerazioni che l’uso delle nuove tecnologie nella psicoterapia richiede attente valutazioni.
In tema di trasformazioni sociali è necessario chiedersi come possiamo continuare una terapia con pazienti che si sono trasferiti per lavoro in un’altra città o in un altro Stato; oppure come possiamo rispettare il diritto dei nostri pazienti alla continuità delle cure quando sono costretti a casa da una lunga malattia o per condizioni di sicurezza sociale (come la corrente pandemia). Dal punto di vista del rapporto paziente-terapeuta bisogna domandarsi se è possibile per un paziente avere un’esperienza significativa di relazione quando la terapia è svolta da remoto, o che cosa succede quando riduciamo le nostre relazioni terapeutiche alle due dimensioni di uno schermo piatto.
Paolo Migone, già diversi anni fa, ha firmato un’accurata riflessione sul tema delle terapie online, fornendo un esauriente approfondimento a partire dalle questioni relative al setting, così come delineate nei due noti lavori di Freud del 1913 e del 1914 (numero delle sedute, luogo, uso del lettino, etc.). Migone, provocatoriamente, sostiene che la psicoterapia con Internet non avrebbe alcuna particolare peculiarità “più di quanto non ve ne sia per le psicoterapie praticate in setting eterodossi come nuove frontiere che hanno messo alla prova la coerenza intera della cosiddetta tecnica classica nel suo sviluppo storico”.
Le questioni relative al setting, tuttavia, non sono le sole a porre interrogativi importanti. I dispositivi teorici e tecnici della psicoanalisi si scontrano con altre domande quando la terapia è svolta online: quanto può essere efficace un’analisi che non preveda la presenza del corpo nella stanza? Ci può essere una buona sintonizzazione affettiva? Il medium elettronico potrebbe determinare l’instaurarsi di fenomeni transferali e controtransferali che più difficilmente possono essere colti, in quanto nascosti nell’opacità del mezzo tecnologico?
La terapia da remoto su schermo (a maggior ragione via telefono) privilegia l’aspetto uditivo. Non si incontrano corpi, non si incrociano sguardi. Così, l’utilizzo delle nuove tecnologie nella psicoterapia potrebbe confinare il processo psicoanalitico all’analisi di “stati della mente” e non di “stati dell’essere”.
Nel suo recente lavoro Psicoanalisi attraverso lo schermo, la psicoanalista britannica Gillian Isaacs Russel affronta tali tematiche e prende in considerazione limiti e potenzialità delle terapie online, a partire anche dai campi delle neuroscienze, della comunicazione e dell’infant observation. In particolare l’autrice fa notare come alcuni autori si concentrino sul potenziale di incontro emotivo, di sintonizzazione o mancanza di sintonizzazione, che si può riscontrare in qualunque setting psicoanalitico, rendendo questa “concezione astratta e simbolica” dell’incontro fra le menti importabile nelle sedute a distanza e sufficiente per un profondo cambiamento psichico. Su un altro piano la Isaacs Russell sottolinea come oggi si sia più consapevoli che il modo con cui le esperienze primitive vengono comunicate non è il linguaggio verbale. Questo costringe a implicare il terapeuta riguardo alle sue sensazioni corporee, le sue percezioni allucinatorie o psicosomatiche. Quindi la diade paziente-analista, per approfondire il processo psicoanalitico, avrebbe bisogno dell’esperienza tradizionale della presenza fisica e non solo di una presenza simulata dalla tecnologia.
Fatte salve le diverse posizioni in merito alla terapia da remoto, è opinione comune che la psicoanalisi debba confrontarsi con le nuove tecnologie e con le innovazioni che esse producono nel campo terapeutico, aprendo la strada a nuove potenzialità di cura che le possibilità di contatto via Internet potranno dare.
Studio dei testi:
Luciano Floridi, Pensare l’infosfera. La filosofia come design concettuale, Raffaello Cortina, 2020
Sigmund Freud, Nuovi consigli sulla tecnica della psicoanalisi, Bollati Boringhieri
Paolo Migone, La psicoterapia con internet, Psicoterapia e Scienze Umane, XXXVII, 4: 57-73, 2003
Gillian Isaacs Russell, Psicoanalisi attraverso lo schermo, Astrolabio-Ubaldini Editore, 2017